28 febbraio 2007

Ciao, nonno Gildo

Sì... era ormai alla fine, mio nonno, ma quando arriva il momento è sempre un colpo duro. Mio nonno è scomparso propio ieri. Il nonno Gildo per me è sempre stato un punto di riferimento, per la sua semplicità, genuinità e bontà che si addice ad un contadino che veniva dai monti della lunigiana. Mi ha trasmesso le tradizioni dei suoi luoghi, la schiettezza della sua gente e l'onestà della sua persona. Voglio ricordare mio nonno con i versi della canzone di Gaber dedicata proprio a lui quando, a causa di una gamba rotta, si ritrovò all'ospedale accanto ad un signore molto amico di Giorgio che ebbe un grave incidente in una cava di marmo. Quest'uomo, che trovò in mio nonno la solidarietà che serviva, raccontò a Gaber questa storia e il cantautore, colpito, scrisse una canzone:

Gildo.

Fu proprio là nella corsia di un ospedale
che aprii gli occhi e vidi un letto accanto al mio,
il primo giorno si ha una sensazione spiacevole e volgare
e i piccoli disagi non fanno bene al cuore.

Ma la notte, la notte
aumenta lo spessore del dolore con le sue presenze,
la notte, il cuore è gonfio la notte
e i lamenti dei malati riempiono le stanze.

Ma stranamente il giorno dopo prima che arrivino i parenti
si fa un poco di ironia persino sui lamenti
e il letto accanto al mio con dentro un uomo grosso e un po’ volgare
diventa una presenza singolare.

"Gildo, come faccio, mi vergogno, dovrei andare..."
Gildo, il grosso Gildo mi insegna da sdraiato come devo fare
e intanto a pochi metri di distanza si fatica a respirare.

Sono le innocenti stonature di un salotto,
sono i piccoli fastidi, i gesti un po’ meschini
che fanno l’uomo veramente brutto.

Ma in ospedale dove la perdita è totale,
dove lo schifo che devi superare
è quello di aiutare un uomo a vomitare.

Dove non c’è più nessuna inibizione
dal vomito al sudore, alla defecazione
e allora salti il piano se lo sai saltare
e entri in un altro reparto dell’amore.

"Gildo io vorrei che all’insaputa delle suore..."
Gildo, il grosso Gildo mi passa di nascosto qualche cosa da mangiare
e intanto a pochi metri di distanza un uomo muore.

Si parla poco e piano per diverse ore
e a notte alta quell’ospite agghiacciante vien portato via,
riprende indisturbato e noncurante il ritmo della corsia.

I piccoli disagi, l’ho già detto non fanno bene al cuore
ma il senso della morte
è sempre stato troppo forte.

Gildo, non l'ho mai saputo immaginare,
chissà perché improvvisamente diventa elementare,
potrà sembrare irriverente ma qualche ora dopo
ridevamo tutti per niente.

Ma a scanso di fraintesi
non è il cinismo mestierante e fastidioso dei dottori
ma il senso della vita che ti spinge fuori.

"Gildo, mi dispiace, son guarito, devo andare..."
e Gildo che naturalmente mai più nella mia vita ci avrò il gusto di incontrare
nasconde, questa volta con vergogna, il suo dolore.

Il cielo azzurro e teso
e le mie gambe strane, senza peso
attraversavo il giardino tremante
come in un sogno riposante.

Gli occhi delle nuove madri luccicavano
e i grossi seni sotto le vestaglie biancheggiavano,
solitario avvertivo quel candore, quell’aria di purezza
e il cielo era azzurrino e c’era un po’ di brezza
e stranamente un senso d’amore che non so dire...

Giorgio Gaber

2 commenti:

Unknown ha detto...

anch'io saluto Gildo

Anonimo ha detto...

anche io saluto Gildo, e con lui tutti i nonni che ci precedono nel viaggio... e tra quei nonni oltre al mio, quello che porta il nome di Giorgio Gaber..
elena